martedì 22 dicembre 2009

Bruce Springsteen, Stolen Car (track version)




Mi sono trovato una ragazza e mi sono sistemato
In una casetta carina in una bella cittadina
Ci siamo sposati e abbiamo giurato che mai ci saremmo lasciati
Poi a poco a poco i nostri cuori si sono allontanati
Ora sto guidando un auto rubata in una notte nera come la pece

E sto facendo del mio meglio per superarla

Sono qui seduto al semaforo della Stanton
Voglio essere preso ma non succede mai
All'inizio pensavo fosse solo inquietudine
Che si sarebbe dissolta col tempo e con il crescere del nostro amore
Ma alla fine c'era qualcosa in più, credo
Che ci ha divisi e fatto soffrire
E io sto guidando un auto rubata aspettando quella piccola luce rossa
Continuo a dirmi che ogni cosa andrà bene
Ma corro nella notte e viaggio nella paura
Che in questa notte io potrei scomparire

Lei mi ha chiesto se ricordavo le lettere che le ho scritto
Quando il nostro amore era giovane e noi eravamo forti
Mi ha detto che ha letto quelle lettere la scorsa notte
E che l'hanno fatta sentire vecchia di cent'anni

C'è un fiume che corre vicino a quella piccola città
Fino al mare
E' stato lì nell'ombra che mi sono disteso
non appena lei si abbandonò così facilmente
C'è una festa questa notte al County Line
Si ballerà giù al Seven Trees
Da queste sponde posso vedere le luci di quei party brillare
Forse lei è là, forse mi stà aspettando

L'altra notte ho sognato di chiamarla
Le ho giurato di tornare per rimanere per sempre
Ancora una volta ripercorrevamo i passi del matrimonio al Victory Hall
E camminavamo mano nella mano attraverso la porta della cappella
Mi ricordo quanto bene mi sono sentito dentro
Quando il prete ha detto "Figliolo, puoi baciare la sposa"
Ma appena mi sono chinato per toccare le sue dolci labbra
Le ho sentite scivolare via attraverso la punta delle dita
E sto guidando un auto rubata in una notte nera come la pece
Continuo a dirmi che ogni cosa andrà bene
Ma corro nella notte e viaggio nella paura
Non importa cosa faccio, o dove guido
Nessuno mi vede quando corro via


La traduzione non è il massimo, ho corretto qui e li, ma certe sfumature non mi convincono.

Pubblicato da Giulia alle 07:43 | 0 commenti  
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domenica 14 giugno 2009

14 giugno 09

Il contenuto dell’esperienza è la realtà. Un uomo è innamorato della tal ragazza: questo è un fatto, è un fenomeno. Il poeta va in giro con le mani in tasca e giunge a questo fatto. Questo fatto entra sotto il giro d’orizzonte dei suoi occhi, cioè entra dentro l’ambito del suo conoscere. Siccome è un fenomeno reale, diventa oggetto di conoscenza. Questo è l’inizio del fenomeno, ma non è tutto. Di fronte a questo oggetto di conoscenza, gli occhi del poeta si incendiano di curiosità, di simpatia, di approvazione, perché nel fenomeno vede qualcosa che garberebbe avere anche a lui, mentre essendo piccolo poeta quindicenne non l’ha ancora così. Prova una nostalgia: prova, cioè reagisce con un senso di invidia e con un desiderio di avere anche lui quel fenomeno». Qui dovrei fermarmi e domandarvi: questo è esperienza? È questa la corrispondenza? Scommetto che la stragrande maggioranza risponderebbe di sì: provo una nostalgia, provo questa curiosità, provo questa simpatia, dunque mi corri€sponde. E questa è la giustificazione; uno può andare dietro a qualsiasi cosa, e poi giustificare qualsiasi tipo di naturalismo (andare fino in fondo alle proprie nostalgie sentimentali) in nome della corrispondenza, e giustificare anche tra noi qualsiasi stupidaggine in nome della corrispondenza. Spesso per noi corrispondenza è sinonimo di desiderio di avere. Ma attenzione a come prosegue don Giussani: «Fin qui non è esperienza, ma qualcosa che si prova. [...] "È soddisfazione reale? È risposta vera al mio bisogno? È felicità? È verità e felicità?". Queste sono le esigenze che non nascono in ciò che prova, ma nascono in lui davanti a ciò che prova, in lui impegnato in ciò che prova. Queste domande giudicano quello che prova». Questa, sì, è la corrispondenza! «Qui diventa esperienza il puro e il mero provare. [...] Diventa esperienza quando il provare è nel contempo giudicato dai criteri del cuore: se è veramente vero, se è veramente bello, se è veramente buono, se è veramente felice. In base a queste domande ultime del cuore, a questi criteri ultimi del cuore, l’uomo governa la sua vita». Altrimenti è un moccioso che segue quello che prova senza giudicarlo! Per questo la confusione del provare con la corrispondenza è quello che ci impedisce, alla fine, di riconoscere qual è la corrispondenza di Cristo. Non è soltanto che sbaglio in continuazione – che già sarebbe abbastanza –, ma che non capisco qual è la novità che Cristo introduce. Per questo pensiamo di non vedere la risposta, ma in realtà non vediamo l’enigma. Infatti «una risposta è capita solo nella misura in cui uno sente la domanda addosso a sé».
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mercoledì 27 maggio 2009

Paradiso, XV, vv. 32-36

poscia rivolsi a la mia donna il viso,
e quinci e quindi stupefatto fui;
ché dentro a li occhi suoi ardeva un riso
tal, ch'io pensai co' miei toccar lo fondo
de la mia gloria e del mio paradiso.
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domenica 24 maggio 2009

Sottrazione di vita

Come chiamare questo fenomeno che sta toccando l'Italia da nord a sud, di ragazzini che decidono di uscire di scena, di togliersi la vita, in modi spesso atroci, per motivi che sembrano banali come il cattivo esito a scuola, o di una cotta?Non è una novità, ma l'aumento c'è, e ci toglie anche quel banale, nefasto riparo e luogo comune che ci faceva dire: qui è dura ma lassù nei paesi nordici i giovani si fanno più fuori... No, succede anche qui, nella solare Italia, dove nessuna notte dura molti mesi e forse una notte è penetrata nelle vite di tanti più giovani. Che poi si dice: ma che strano, non sembrava...Nessuna parola potrà mai spiegare definitivamente nessuno di questi fragili, tremendissimi gesti. Ma questi buchi che si aprono, questi fiori che scompaiono, insomma questo mutare di panorama da vita in morte e proprio dove la vita pareva più forte, iniziale, prorompente non può lasciare tranquilli.E' una emergenza sociale. Politica. A meno che non si consideri politica questa continua estenuante baruffa che molti dei nostri politici inscenano mentre là, ai lati della scena, questi ragazzi che rientrano nelle quinte sembrano non interessare nessuno. Come chiamarlo questo fenomeno se non grido, o supplica. O ferita ai polsi di tutti. E richiamo, muto, attonito, a vedere che cosa di vitale stiamo proponendo ai nostri figli, e ai figli di tutti che sono i ragazzi che incontriamo...

DR

[da "clanDestino ZOOM - ogni settimana uno sguardo realistico (e perciò poetico) al mondo"]
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domenica 17 maggio 2009

LECTURA DANTIS/ Se una poetessa russa impara l’italiano per leggere la Commedia

sabato 16 maggio 2009

Mercoledì scorso nelle aule dell’Università degli Studi di Milano uno tra i maggiori poeti russi contemporanei, Ol’ga Sedakova, ha commentato i canti XXVII-XXVIII-XXIX del Purgatorio di Dante all’interno del ciclo di incontri di Esperimenti Danteschi.
L’iniziativa, sostenuta dall’Università e patrocinata dal Comune di Milano, è sorta cinque anni fa dall’idea di un gruppo di studenti appassionati al poema dantesco, che desideravano approfondirne lo studio e – come recita la prefazione al volume degli atti delle conferenze dell’edizione del 2008 – «coinvolgere alcuni professori in un ciclo di incontri che consentisse, nell’arco di tre anni di completare la lettura integrale della Commedia, sacrificata dai programmi ministeriali dell’università riformata. Da una amicizia giocata nella comune passione per la letteratura e per Dante, divenuta presto contagiosa, dall’incontro libero e appassionato, a tratti perfino acceso, tra docenti e studenti è nata un’iniziativa che a ben vedere non fa altro che riproporre lo spirito che ha dato origine all’universitas del XII secolo». La prima edizione, svoltasi nel 2005, è stata dedicata all’Inferno: sono stati invitati i più importanti dantisti del mondo, impegnati nella lettura di due o tre canti assegnati dagli studenti. Ad essa sono seguite le letture integrali di Purgatorio e Paradiso, fino al 2007. Il grande successo e l’interesse dimostrato dai numerosi partecipanti, studenti e semplici appassionati, ha spinto a organizzare un nuovo ciclo, iniziato lo scorso anno e coronato, per la prima volta, dalla pubblicazione di un volume.
Ma torniamo a Ol’ga Sedakova. Da dove è potuto sorgere l’incontro così peculiare tra una poetessa russa e Dante? La risposta è contenuta in un’osservazione che la Sedakova ha proposto alla conferenza tenuta lo scorso anno sempre nell’ambito di Esperimenti danteschi: «Dante non è solo arte che genera arte. Egli è anche pensiero che genera pensiero. E di più: esperienza che genera esperienza. L’ultima cosa, forse, per me è la più importante».
Olga Sedakova, erede di Anna Achmatova, Osip Mandel’štam, e della grande tradizione poetica russa, è stata poeta del samizdat – la cultura “sommersa” negli anni del regime sovietico – e ha cominciato ad essere pubblicata liberamente in Russia soltanto a partire dal ‘90. Non pubblicata non significa non letta: innumerevoli copie clandestine dei suoi versi venivano passate di mano in mano, a rischio e pericolo di chiunque ne fosse in possesso. Anche ritrovarsi insieme ai propri amici per leggere gli autori proibiti dalla censura era considerata un’attività sovversiva. Che cosa spingeva uomini già privati dello stretto necessario a rischiare tanto per poter leggere insieme dei versi? «Non c’era nessuna organizzazione predefinita, ma solo un gran bisogno di poesia, di una poesia che raccontasse delle questioni “radicali” dell’esistenza», risponde Olga Sedakova. «La felicità autentica ci si rivelava innanzitutto nell’arte, nell’arte che era stata cacciata dal paradiso sovietico: un’arte strana, inquietante, complessa, assolutamente diversa da tutto quello che avevamo intorno. La voce di quest’arte ci parlava della grandezza e della libertà dell’anima. Ci infondeva l’amore a ciò che Mandel’štam chiamava “boccata d’aria rubata” e ad ogni espressione dell’uomo che si raddrizzava in tutta la sua statura: la statura del pensiero, del cuore, dell’anima».
Il bisogno dell’arte coincideva dunque con l’esigenza più profonda della persona, un’esigenza vitale quanto il respiro. Questo bisogno era vivissimo anche nella Sedakova, al punto che decise di imparare l’italiano per poter leggere Dante in lingua originale. Alla fine degli anni ‘70 Ol’ga Sedakova e alcuni amici cominciarono così ad incontrarsi per leggere insieme i versi della Commedia, dando vita ad una sorta di clandestina lectura Dantis: una situazione del tutto sui generis per un’epoca in cui il regime tentava di impedire qualsiasi forma di incontro spontaneo e di reale condivisione.
Sono stati proprio questi stessi caratteri “sovversivi” che hanno spinto la Sedakova a partecipare ad Esperimenti Danteschi, quest’anno per la seconda volta. Nei canti XXVII-XXVIII-XXIX del Purgatorio la Sedakova si concentrata in particolare sul tema del Paradiso Terrestre, in cui viene messa a fuoco la natura dell’esperienza profondamente umana della poesia: «Questo istante di verità, questo mirabile oblio di ogni possibilità di errore e fallimento, della propria dolorosa imperfezione, è ciò che l’uomo chiama felicità pura. Il dono della poesia come tale, indipendentemente dai suoi contenuti concreti è il dono di questa felicità, il dono della memoria dell’Eden».
«In questo gruppo di canti, e solo qui, noi vediamo Dante-poeta nello stretto senso della sua professionalità: vediamo che cosa sia la passione letteraria, la gratitudine al modello, la riconoscenza dell’autore al lettore, che non vien meno neppure dopo la tomba; che cosa sia la fede dei poeti nell’immortalità delle proprie dette e inchiostri (entrambi i termini stanno ad indicare i versi): Che Lete non può torre ne far bigio. L’influsso del modello virgiliano viene assimilato all’azione del fuoco, che accende il fuoco del successore, e l’“autore” venerato diviene più caro del padre e della madre. Il rapporto di Stazio nei confronti di Virgilio e di Dante verso Guido Guinizelli (padre del «dolce stil novo») è più caloroso dei legami di sangue. Virgilio è, infatti, lo piu’ che padre».

(Vera Pozzi)
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giovedì 30 aprile 2009

Negra Sombra

Cando penso que te fuches,
negra sombra que me asombras,
ó pé dos meus cabezales
tornas facéndome mofa.
Cando maxino que es ida,
no mesmo sol te me amostras,
i eres a estrela que brila,
i eres o vento que zoa.
Si cantan, es ti que cantas,
si choran, es ti que choras,
i es o marmurio do río
i es a noite i es a aurora.
En todo estás e ti es todo,
pra min i en min mesma moras,
nin me dexarás ti nunca,
sombra que sempre me asombras.

Rosalia De Castro (Follas Novas, 1880)

Quando penso che tu sia fuggito, la tua ombra scura mi sorprende e ritorni ai piedi del mio capezzale cogliendomi di sorpresa. Quando immagino che tu te ne sia andato, ti mostri nel sole stesso, sei la stella che brilla, il vento che fischia. Se cantano sei tu che canti, se piangono sei tu che piangi, sei il fremito del fiume, sei la notte e l’aurora.Tu sei in tutto e sei tutto per me. In me dimori. Non lasciarmi mai, ombra che sempre mi sorprendi.

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lunedì 20 aprile 2009

Pirandello

L'idealista:-Ma scusate! Se l'uomo può intendere e concepire così l'infinita sua piccolezza che vuol dire? Vuol dire ch'egli intende e concepisce l'infinita grandezza dell'Universo! E come si può dir piccolo,dunque, l'uomo? Voi scherzate! Piccolo? Ma dentro di me dev'esserci per forza, capite? qualcosa di quest'infinito, se no io non lo intenderei, come non lo intende... che so? questa mia scarpa, puta caso, o il mio cappello. Qualcosa che se io affiso... così... gli occhi alle stelle, ecco, s'apre, egregio professore, s'apre e diventa, come niente, plaga di spazio, in cui roteano mondi, dico mondi di cui sento la formidabile grandezza. Ma questa grandezza di chi è? E' mia caro professore! Perché è sentimento mio! E come potete dunque dire che l'uomo è piccolo, se ha in sè tanta grandezza?
L'altro:- Ah, tu così ragioni? Questo prima di tutto, l'ha detto Pascal. Ma va' avanti! va' avanti, perdio! Dimmi ora che significa. Significa che la grandezza dell'uomo, se mai, è solo a patto di sentire la sua infinita piccolezza! Significa che l'uomo è solo grande quando al cospetto dell'infinito si sente e si vede piccolissimo; e che non è mai così piccolo, come quando si sente grande! Questo significa! E che conforto e che consolazione ti può venir da questo?
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lunedì 13 aprile 2009

Buona Pasqua!

La risurrezione pertanto non è una teoria, ma una realtà storica rivelata dall’Uomo Gesù Cristo mediante la sua "pasqua", il suo "passaggio", che ha aperto una "nuova via" tra la terra e il Cielo (cfr Eb 10,20). Non è un mito né un sogno, non è una visione né un’utopia, non è una favola, ma un evento unico ed irripetibile: Gesù di Nazaret, figlio di Maria, che al tramonto del Venerdì è stato deposto dalla croce e sepolto, ha lasciato vittorioso la tomba.

Benedetto XVI
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mercoledì 11 febbraio 2009

«Deturpata? Era bella, sette giorni fa» (da avvenire, 11.2.08)

«Non è possibile che Beppino abbia detto questo», mormorava ieri a Lecco suor Rosangela, dopo aver letto sul 'Corriere' di una E­luana che pesava 35 chili e il cui vol­to era deturpato dalle piaghe. «For­se si riferiva a questi ultimi giorni, dall’arrivo a Udine, ma come può essere cambiata così?», si chiedeva senza capire... Una settimana sen­za più cure né sollievi e quattro giorni senza cibo né acqua, sospe­si per intero e all’improvviso, sono torture, è vero, ma possono basta­re? «Da qui è andata via che era bel­la - taglia corto la suora - , del resto verranno pur fuori le cartelle clini­che, basterà andare a leggere l’ulti­mo bollettino di Defanti prima del­la partenza da Lecco. È scritta ogni cosa, qui in collaborazione con lui si seguiva un percorso ben preciso e dettagliato, risulterà tutto». E le accuse di Beppino? Alza le spalle lasciando trasparire solo affetto. «È un uomo tutto da capire». Ora che importanza può avere che Eluana avesse un aspetto salubre o malato, che fosse magra o in car­ne? Oggi davvero tutto questo sa­rebbe abissalmente lontano, persi­no grottesco. Se non fosse che quel corpo, anche ora che tace, conti­nua a parlare, eccome se parla. E racconta anni di assistenza perfet­ta a tutti i livelli. O invece altrettanti anni di «violenze subìte», a sentire chi vorrebbe una Eluana scarnifi­cata, «dalla faccia che si era rinsec­chita come il resto del corpo», che « pesava meno di 40 chili » , le cui «braccia e gambe erano rattrappi­te » , con il viso tutto piagato da « quelle lacerazioni che ai vecchi vengono sul sedere o sulla schiena ma a lei anche in faccia»... Questo si leggeva infatti sul 'Corriere del­la Sera' di ieri a firma Marco Ima­risio, questo il papà di Eluana gli ri­feriva « ancora ieri mattina » ( cioè lunedì 9, giorno della morte), of­frendo un quadro raccapricciante dello stato di sua figlia (che lui ha visto per l’ultima volta martedì 3, il giorno dopo l’arrivo a Udine). Bi­sognerebbe solo tacere, adesso, ma simili dichiarazioni disorientano un’opinione pubblica che non sa più dove sta la verità e ha diritto di sapere: perché l’uccisione di Elua­na non è (e non è mai stata) un fat­to privato, e oggi sostenere che fos­se in stato terminale, un lumicino che attendeva solo un soffio per spegnersi, suona come una gravis­sima e fuorviante deriva. L’ennesi­ma. Difficile, peraltro, da sostene­re: non solo lo stesso neurologo Carlo Alberto Defanti ancora l’al- troieri (lunedì 9), non prevedendo il crollo della paziente, insisteva sul­le sue 'ottime' condizioni fisiche («al di là della lesione cerebrale è u­na donna sana, mai una malattia, mai un antibiotico, probabilmente resisterà più a lungo della media»), ma curiosamente lo stesso ' Cor­riere' per due giorni consecutivi ha affidato a un’altra dei suoi inviati a Udine la descrizione dello stato di Eluana, di segno opposto a quella del collega: per altri tre o quattro giorni, scriveva infatti Grazia Ma­ria Mottola sabato 7 febbraio, «il suo volto resterà ancora intatto, le guance piene, gli occhi allungati, le labbra rosa... » , certo, aggiungeva poi, non ha più l’ombretto azzurro sulle palpebre né le pose da mo­della delle foto di vent’anni fa, ma è «pur sempre bella anche oggi, so­prattutto per la pelle, ancora bian­ca e distesa». Solo tra qualche gior­no, diceva dopo aver sentito De­fanti e De Monte, « il viso comin­cerà ad affilarsi, e zigomi e naso spunteranno sempre più pronun­ciati. Ma nessuno permetterà che la sua pelle si raggrinzisca e perda il candore». Ancora lo stesso quoti­diano e la stessa cronista, domeni­ca 8 febbraio, dedica un intero ar­ticolo a descrivere un’Eluana che è ovviamente « l’immagine sbiadita della bruna stupenda» di un tem­po, ma ha gli stessi lineamenti so­lo più delicati ed è ancora bella. La giornalista rivela di averla vista dal vivo nella stanza di Lecco più vol­te, anche a ottobre nel giorno in cui un’emorragia se la stava portando via. Anche in quelle condizioni «la pelle è chiara e distesa, gli occhi profondi che non si fermano mai», ma la bocca «si apre e si chiude boc­cheggiando » per la morte che pare imminente. Invece la crisi passa e pochi giorni dopo «il viso è sempre lo stesso», la vita riprende i suoi rit­mi con « le passeggiate in carroz­zella, la ginnastica tra le mani del­le suore » . E, aggiungiamo noi, di quattro fisioterapisti che tutti i gior­ni si alternavano per tenere tonici i muscoli e sano il fisico. Girata con­tinuamente nel letto antidecubito, Eluana non aveva una piaga e i suoi arti erano sodi grazie alla ginnasti­ca passiva, quella che migliaia di al­tri pazienti in stato vegetativo pur­troppo non ottengono, dati i costi di simili trattamenti. Allo stesso De­fanti la sera dell’emorragia aveva­mo chiesto personalmente come Eluana potesse essere così florida e sana, senza una piaga, e il medico aveva attribuito senza esitazioni il merito «a queste suore che volon­tariamente la assistono con una competenza e abnegazione che io non ho mai visto altrove». E così stridono ancora di più le ul­time dichiarazioni rilasciate ieri se­ra da Beppino al tg del Friuli: «Non perdòno la mancanza di rispetto nei riguardi di Eluana e della mia fa­miglia tutti questi anni. Eluana ha subìto non un accanimento tera­peutico, ma una violenza terapeu­tica: non voleva che nessuno le mettesse le mani addosso e loro lo hanno fatto continuamente per 17 anni». Anche dinanzi a insinuazioni in­giuriose le suore chiedono solo si­lenzio e preghiera, e ancora ieri si preoccupavano per Beppino, l’uo­mo che hanno sempre rispettato al punto da essere state inflessibili guardiane di quella figlia diventata anche loro, al cui capezzale non ac­cedeva nessuno - senza eccezioni ­se non era accompagnato dallo stesso Englaro. Ieri per ultima alla ridda di voci si è aggiunta quella di Marinella Chiri­co, giornalista Rai, che domenica pomeriggio, quando Eluana era già priva di cibo e acqua da tre giorni, proprio da papà Beppino è stata fatta entrare nella stanza della fi­glia assieme al fratello Armando Englaro: «Mi ha chiesto di vederla perché critiche 'ferocissime e cru­deli' mettevano in dubbio il suo stato reale», spiega la collega, che là dentro 'scopre' che Eluana, dopo 17 anni di stato vegetativo, «è irri­conoscibile rispetto alle foto » ( di venti anni prima e di ragazza sana), che è «una donna completamente immobile», che «gli infermieri so­no costretti a girarla ogni due ore», per evitare il decubito (come a Lec­co si è fatto per 15 anni), che solo le orecchie «presentano lesioni» in quanto «unica parte del corpo non tutelabile nemmeno girandola»… C’è da chiedersi come immagina­va che fosse uno stato vegetativo (incontrare questi pazienti è sem­pre una delle esperienze più toc­canti) e se avesse nella sua vita av­vicinato già altri pazienti del gene­re (ma certo non curati come Elua­na). A questo punto, però, di «ferocissi­mo e crudele» c’è solo un terribile sospetto: se davvero una settimana nella casa di riposo di Udine è ba­stata, come dice la Chirico, a fare di Eluana un corpo la cui vista era 'devastante', che cosa le hanno fat­to? Come si distrugge in sette gior­ni un equilibrio stabile da quindi­ci anni? Per Eluana ormai non c’è più nulla da fare, ma a chi di dove­re ora almeno l’obbligo di far e­mergere tutta la verità. Suor Albina, che con suor Rosangela e le altre sorelle ha curato per 15 anni Eluana alla clinica 'Talamoni' di Lecco

Lucia Bellaspiga

Pubblicato da Giulia alle 14:22 | 0 commenti  

Don Aldo Trento restituisce l'onorificenza a Napolitano (dal foglio)

Aldo Trento è dal 1989 uno dei più noti missionari della Fraternità San Carlo Borromeo in Paraguay. Ha sessantadue anni ed è responsabile di una clinica per malati terminali di Asunción. Il 2 giugno scorso il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, gli aveva conferito il titolo di Cavaliere dell’Ordine della Stella della solidarietà. Ieri Trento ha restituito l’onorificenza a Napolitano a causa della mancata firma del decreto che avrebbe arrestato il protocollo medico per Eluana Englaro. “Come posso io, cittadino italiano, ricevere simile onore quando Lei, con il suo intervento, permette la morte di Eluana, a nome della Repubblica italiana?”. “Ho più di un caso come Eluana Englaro”, racconta Aldo Trento al Foglio. “Penso al piccolo Victor, un bambino in coma, che stringe i pugni, l’unica cosa che facciamo è dargli da mangiare con la sonda. Di fronte a queste situazioni come posso reagire al caso Eluana? Ieri mi portano una ragazza nuda, una prostituta, in coma, scaricata davanti a un ospedale, si chiama Patrizia, ha diciannove anni, l’abbiamo lavata e pulita. E ieri ha iniziato a muovere gli occhi. Celeste ha undici anni, soffre di una leucemia gravissima, non era mai stata curata, me l’hanno portata soltanto per seppellirla. Oggi Celeste cammina. E sorride. Ho portato al cimitero più di seicento di questi malati. Come si può accettare una simile operazione come quella su Eluana? Cristina è una bambina abbandonata in una discarica, è cieca, sorda, trema quando la bacio, vive con una sondina come Eluana. Non reagisce, trema e basta, ma pian piano recupera le facoltà. Sono padrino di decine di questi malati. Non mi interessa la loro pelle putrefatta. Vedesse i miei medici con quale umiltà li curano”. Don Aldo Trento dice di provare un “dolore immenso” per la storia di Eluana Englaro. “E’ come se mi dicessero: ‘Ora ti prendiamo i tuoi figli malati’. Il caso di Udine ha sconvolto tutti, medici e infermieri. L’uomo non si può ridurre a questione chimica. Come può il presidente della Repubblica offrirmi una stella alla solidarietà nel mondo? Così ho preso la stella e l’ho portata all’ambasciata italiana del Paraguay. Qui il razionalismo crolla lasciando spazio al nichilismo. Ci dicono che una donna ancora in vita sarebbe praticamente già morta. Ma allora è assurdo anche il cimitero e il culto dell’immortalità che anima la nostra civiltà”.
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"La vedova Coletta: un sacrificio misterioso che ci fa sperare"

«Mio padre e mia madre mi hanno abbandonato, ma il Signore mi ha raccolto». Basterebbe la profonda e infinita sapienza del salmista per capire che nulla è senza speranza, e che anche l’umanità più abbandonata e desolata trova accoglienza nelle braccia del Mistero. Ma non sono solo le parole dei salmi a dirci di questa speranza: c’è anche la testimonianza di persone speciali, che in quello che fanno e dicono sanno dare concretezza ed evidenza a tutto questo.Margherita Coletta è una di queste persone. Lei sa cos’è il dolore: un marito ucciso nella strage di Nassiriyah, un figlio morto di leucemia, di cui oggi ricorrerebbe il compleanno. Solo pochi giorni fa, in un’intervista al quotidiano Avvenire, Margherita aveva parlato del proprio rapporto con Eluana, e con il padre Beppino. E degli ultimi, disperati, tentativi di distoglierlo dal suo proposito. Ora, che non rimane più nulla da fare, è il momento di ricordare, e di capire.Margherita, che ricordo le rimane di Eluana?Io non potrò mai dimenticare questo giorno. Non solo per il legame che avevo con Eluana, per tutto l’affetto che mi legava a lei. Ma anche perché domani (oggi, ndr) sarà il compleanno di mio figlio Paolo, morto di leucemia. Quindi questo mio legame con Eluana diventa ancor più grande, e più misterioso. Non so perché mi sia successo questo, e perché le nostre esistenze si siano intrecciate in questo modo. È un grande mistero, che mi segnerà per sempre.Ma cosa rappresenta per tutti noi Eluana, ora che non c’è più?Il problema ora non è più Eluana: lei stava bene prima, nelle condizioni in cui era, e sta bene anche ora, nel luogo in cui adesso si trova. Il vero problema non è lei. Il problema sono quelli che rimangono, e che hanno il peso di questo omicidio che è stato commesso. È stata una cosa disumana, e non riesco a capire come si sia potuto permettere tutto questo. Si sapeva che stava morendo, eppure non si è potuto fare nulla. Siamo dunque in balia di cosa? Chiunque da un giorno all’altro può prendere una decisione così tragica, e nessuno può fare nulla? Ma tanto, dove fallisce la legge degli uomini, non fallisce la legge di Dio.Si è parlato molto, in tutto questo periodo, del rispetto nei confronti del dolore del padre.Il dolore di un padre lo si può capire, perché è comprensibile che di fronte a situazioni così drammatiche si possa perdere il controllo. Ma quello che veramente non riesco a capire è la posizione di quelli che gli sono accanto.Che cosa la ferisce maggiormente?Quello che io intravedo di disumano è che sembra di essere tornati indietro di sessant’anni, a qualcosa di simile all’Olocausto, ma che viene eseguito in maniera più lenta. Sembra cioè che si voglia fare una selezione naturale delle persone: quelle che sono buone le teniamo, quelle che non sono buone le buttiamo via. In un paese come il nostro, che dovrebbe essere un paese civile, questo non dovrebbe accadere. Per questo mi auguro che venga approvato il disegno di legge di cui si discute in questi giorni, e che questo possa non accadere mai piùDopo tanto dolore, come guardare al futuro?Dobbiamo sicuramente continuare a guardare con speranza al futuro. Eluana, pur senza agire e senza dire nulla, ha comunque fatto in modo che cose del genere possano non accadere mai più. Possiamo dire che il suo è stato un vero e proprio sacrificio, che servirà per tutti i casi che sarebbero potuti accadere in futuro, e che invece ora, grazie al suo silenzioso esempio, saranno evitati.Quindi da questa tragedia nasce una speranza?Sì. E speriamo soprattutto che le cose che diciamo possano servire alla gente. Ma una cosa è certa: come ho detto prima, Eluana sta bene.
Pubblicato da Giulia alle 12:32 | 0 commenti  

"Che spettacolo, il rovesciamento cosmico fatto dal grande Nemico dell’uomo"

Milano.Un bimbo di dieci anni col cuore un po’ in gola ha chiesto a sua mamma: “Ma è stato davvero il papà a volere farla morire?”. Che scandalo per i bambini un mondo dove non si sa più se il bene di papà coincida con la tua vita o con la tua morte, bambino. Il seme inquieto, La dichiarazione, Il Mondo Nuovo. Prendete la cartina dell’Italia e guardatevi, voi siete qui. Siete usciti da uno dei romanzi di Gemma Malley, Anthony Burgess, Aldous Huxely e avete cominciato a vivere come personaggi di questo mondo. E a morire come Eluana Englaro. Credevamo che esistesse un dovere di cronaca, che esistessero i fatti prima delle opinioni, che ci fosse un mondo comune da spartire e, pane al pane, che Eluana Englaro è morta di arresto cardiaco non perché soffriva di cuore, ma perché l’hanno ammazzata (e non facevano meglio a iniettarle del cianuro prima, invece che fare l’autopsia dopo? Che dubbio, il dubbio del giorno dopo? Che autopsia è se l’hanno ammazzata con la stricnina invece che per negazione di una goccia d’acqua?). E invece i recentissimi titoli e commenti dei giornali negano tutto, imbrogliano tutto, sentimentalizzano tutto. Dicono “Eluana è morta”, che “adesso al di là delle opinioni ci vuole una legge”, dicono che bla bla bla. Interessante, non viviamo più nello stesso mondo, ma il mondo va avanti. Che spettacolo. E che ne sai che poi Eluana magari si reincarna in un albero o sarà un tutto con l’energia cosmica? Ma intanto. Cosa ci dice l’omicidio buono? Bè, che è meraviglioso essere uomini e donne, come mi ha segnalato l’amico Giancarlo Cesana, le sole malattie a trasmissione sessuale, mortali al 100 per cento. Che spettacolo. Ieri mattina, attorno alle 11, dopo Rai Uno Mattina. Dopo gli inchini di grave e toccante consenso a una Lidia Ravera di grande rigore morale. “Abbiamo pietà dei nostri cagnolini, quando sono malati li portiamo dal veterinario, un’iniezione e via. Perché non abbiamo questa pietà per gli esseri umani? Ringrazio Beppino Englaro. Mi sono fidata di lui e ho avuto ragione. E’ stata una grande lezione per tutti. Grazie”. Che spettacolo. Dicevo, ieri mattina, attorno alle 11, dopo Rai Uno Mattina, all’angolo del ponte Garibaldi, versante Via Arenula, giaceva sul selciato, immobile, raggomitolato, un uomo. Era morto? Era vivo? Chissà. Due ragazzi parlottavano vicino a lui e anch’io, per dire, l’ho guardato e sono venuto a scrivere questa cosa che la sua presenza sul selciato, il suo silenzio raggomitolato, dopo Rai Uno Mattina, mi ha dettato dentro. Che spettacolo. Il professor Mori è un uomo pio, un po’ spento, ma pio, con l’occhio liquido liquido e il capello dello scienziato esagerato. Diceva Mori, ieri a Rai Uno Mattina, un po’ con l’affanno dello scienziato del Ventesimo secolo che scoprì nelle misure del cranio la superiorità dell’uomo bianco rispetto al negro, che finalmente il generoso e simbolico gesto di Beppino Englaro, la pace naturale raggiunta da Eluana Englaro, dimostrano che questa idea della vita come mistero, questo mistero della vita, “è roba vecchia, roba superata dai progressi scientifici”.Che spettacolo. Lo avevano già appurato Lenin e Hitler, Pol Pot e Mao nello scorso secolo, ma Mori crede di essere arrivato primo, lui e poi anche Beppino, a scoprire che l’uomo, la donna, sono carne inutile. Insomma, l’altra sera, la sera prima di Rai Uno Mattina, il mondo suonava le campane a vita. E Beppino Englaro suggellava la sua carriera di Padre modello (mentre nel mondo comune normale, reale, materiale, ragionevole, insomma, nel mondo dei fatti che era esistito fino alle 20 e 10 di lunedì dell’Anno Domini 2009, sarebbe stato un padre al quale un giudice avrebbe tolto la patria potestà per evidente incapacità di intendere e di volere altro che il proprio dolore e narcisismo da “purosangue” e “somiglia solo a me!” e “adesso non esiste più, per me è morta dal giorno dell’incidente”, come Beppino disse in giro per parecchi anni).Insomma, il fiume Tevere ieri scorreva limaccioso, lambendo gli argini ed esondando proprio nei pressi di quel ponte lì, quello del raggomitolato sul selciato, all’angolo che da su Via Arenula, proprio in faccia l’isola Tiberina. Antico Ospetale, poi Ospedale, edificato col sudore e col sangue di chissà quali alfieri e pezzenti, illustri uomini e puttane (proprio come il Duomo di Milano) per contenere la povera umanità malata, marcia, puzzolente. Epperò amata, curata, guardata, come diceva Teresa di Calcutta, come la carne profumata e bella dei più bei principi e principesse di questo mondo. Questo mondo? Quale mondo? Questo qui, o quello cristiano, il mondo della medicina iniziato con le opere di misericordia, poi spetali, poi ordini ospedalieri, poi Ospedali (“che la medicina è partita così, non per moto scientifico, ma per imitazione di Cristo e partecipazione alle Sue sofferenze partecipando alla sofferenza dell’altro”, sempre Cesana)? E chi se lo ricorda più. Quasi non se ne ricordano più nemmeno gli uomini di chiesa (e infatti per il vescovo emerito di Foggia e la scuola cristiana di don Verzè tutto è bene quel che, come nel caso Eluana, finisce bene). Ma insomma, che spettacolo. E’ finita la civiltà cristiana e non l’ha battuta il turco, non l’ha battuta Bin Laden, non l’ha battuta il minareto che avanza da Amsterdam a Sarajevo. L’ha battuta un omino tranquillamente sconvolto. L’ha battuta uno così tenacemente fuori sé dal dolore, che come potevamo non dargli ragione, mentirgli e mentirci tutti insieme, appassionatamente, dicendo anche noi, tutti in coro, che sì, Eluana è morta 17 anni fa, che la carità delle suore non meritava libertà, che adesso noi l’abbiamo finalmente liberata dalla non vita? Che spettacolo.La figlia secondogenita di una mia amica, ragazzina che scorreva limpida e serena fino a questa età terribile e mostruosa che sono i tredici anni (quando sei ancora un po’ bambina e un po’ col primo mestruo si affaccia l’inquietudine delle grandi domande), chissà cosa gli rimuginava dentro, chissà cosa ha sentito la sera prima di Rai Uno Mattina sentendo di quella morte lì e vedendo tutto il Nuovo Mondo, lì, ad applaudire. Cazzo, fatto sta, che questa tredicenne la mattina si è alzata, non ha detto niente, un gran mal di stomaco, nausea forte. E ha vomitato come se stesse vomitando tutto il mondo. Avrà sentito in giro nell’aria che come c’è una data alla fine dell’impero romano e poi a quello bizantino, c’è una data della fine della civiltà cristiana? Chissà.Che spettacolo. Che si fa? Non lo so, ma ci sono piccina mia, io ci sono. E ci sono gli amici e Giuliano. Però, che spettacolo questo rovesciamento cosmico, questa rivoluzione del mondo, questo sigillo posto lunedì 9 febbraio 2009, ore 20 e 10, dal grande Nemico dell’uomo. Cristo in croce fu abbandonato dal Padre, Eluana mai un Minuto.

Luigi Amicone
11 febbraio 09
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ELUANA - «CI VORREBBE UNA CAREZZA DEL NAZARENO»

«L’esistenza è uno spazio che ci hanno regalato e che dobbiamo riempire di senso, sempre e comunque» (Enzo Jannacci, Corriere della Sera, 6 febbraio 2009).Ma una vita come quella di Eluana si può riempire di senso? Ha ancora significato?
La morte di Eluana non ha chiuso la porta a queste domande. Anzi. Non è tutto finito, come un fallimento della speranza per chi la voleva ancora in vita, o come una liberazione per chi non riteneva più sopportabile quella situazione. Proprio ora la sfida si fa più radicale per tutti. La morte di Eluana urge come un pungolo: come ciascuno di noi ha collaborato a riempire di senso la sua vita, che contributo ha dato a coloro che erano più direttamente colpiti dalla sua malattia, cominciando da suo padre?
Quando la realtà ci mette alle strette, la nostra misura non è in grado di offrire il senso di cui abbiamo bisogno per andare avanti. Soprattutto, di fronte a circostanze dolorose e ingiuste, che non sembrano destinate a cambiare o a risolversi, viene da domandarsi: che senso ha? La vita non è forse un inganno?Il senso di vuoto avanza, se rimaniamo prigionieri della nostra ragione ridotta a misura, incapace di reggere l’urto della contraddizione. Ci troviamo smarriti e da soli con la nostra impotenza, col sospetto che in fondo tutto è niente.
Possiamo «riempire di senso» una vita quando ci troviamo davanti a una persona come Eluana? Possiamo sopportare la sofferenza quando supera la nostra misura? Da soli non ce la facciamo. Occorre imbattersi nella presenza di qualcuno che sperimenti come piena di senso quella vita che noi stessi invece viviamo come un vuoto devastante.
Neanche a Cristo è stato risparmiato lo sgomento del dolore e del male, fino alla morte. Ma che cosa in Lui ha fatto la differenza? Che fosse più bravo? Che avesse più energia morale di noi? No, tanto è vero che nel momento più terribile della prova ha domandato che gli fosse risparmiata la croce. In Cristo è stato sconfitto il sospetto che la vita fosse ultimamente un fallimento: ha vinto il Suo legame col Padre. Benedetto XVI ha ricordato che per sperare «l’essere umano ha bisogno dell’amore incondizionato. Ha bisogno di quella certezza che gli fa dire: “Né morte né vita… potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù” (Rm 8,38-39). Se esiste questo amore assoluto con la sua certezza assoluta, allora – soltanto allora – l’uomo è “redento”, qualunque cosa gli accada nel caso particolare» (Spe salvi 26).
La presenza di Cristo è l’unico fatto che può dare senso al dolore e all’ingiustizia. Riconoscere la positività che vince ogni solitudine e violenza è possibile solo grazie all’incontro con persone che testimoniano che la vita vale più della malattia e della morte. Questo sono state per Eluana le suore che l’hanno accudita per tanti anni, perché, come ha detto Jannacci, anche oggi «ci vorrebbe una carezza del Nazareno, avremmo così tanto bisogno di una sua carezza», di quell’uomo che duemila anni fa ha detto, rivolgendosi alla vedova di Nain: «Donna, non piangere!».

Comunione e Liberazione
10 febbraio 2009

http://www.clonline.org/articoli/ita/volantinoEluana.pdf
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lunedì 9 febbraio 2009

MARGHERITA COLETTA Vi racconto Beppino ed Eluana (di Pino Ciociola)

04/02/2009 - Pubblichiamo l'intervista a Margherita Coletta, vedova di uno dei Carabinieri uccisi a Nasiriyah nel 2003, apparsa il 4 febbraio su Avvenire

Ha chiamato ancora papà Beppino ieri mattina poco prima delle nove: «Ma nemmeno l’hai accompagnata Eluana?», gli ha detto subito. Margherita Coletta è la vedova di Giuseppe, carabiniere assassinato a Nasiriyah il 12 novembre 2003, nell’attentato che spazzò la base italiana “Maestrale”, carabiniere che non aveva mai ucciso e che sceglieva le missioni all’estero per aiutare i bimbi più indifesi, quelli colpiti dalla guerra. Lo faceva per ritrovare il sorriso di suo figlio Paolo, morto a sei anni stroncato dalla leucemia: «Quando capimmo che era finita e i medici ce lo spiegarono chiaramente - racconta lei - facemmo interrompere la chemioterapia».Margherita in questi mesi è volata dalla Sicilia a Lecco per andare a trovare Eluana, accompagnata da Beppino. Spesso e a lungo l’ha accarezzata, l’ha baciata, le ha parlato. E spesso ha parlato col papà, scontrandosi anche duramente, ma senza che mai lui le negasse il dialogo: in qualche modo forse sono diventati amici. Ecco perché ancora ieri mattina lei gli ha telefonato dicendogli: «Speravo che coi giorni fossi rinsavito».Cos’ha provato, Margherita, entrando nella stanza di Eluana?La prima volta mi sono fermata sulla soglia della sua porta. Pensavo di essere più forte. Ho respirato a fondo, poi sono entrata. Quando l’ho vista, abituata com’ero alle foto di lei ragazza, mi ha scosso, oggi è una donna. Ma poco dopo è diventato tutto così normale, come fossi a trovare una persona in ospedale. Anzi, ho sentito tanta dolcezza e nessun ribrezzo e pena. Né ho visto alcun “sacco di patate”, come qualcuno descrisse Eluana, ma una persona che è tutt’altro. Una persona.La sensazione più bella?Quando l’ho accarezzata. Con la sensazione netta, nettissima, che lei avvertisse le carezze. Certo è che pensavo di andare a dare io a lei, invece ho ricevuto assai più di quanto le abbia dato.Cosa?La maggior certezza nelle cose in cui credo. La consapevolezza che non si può ridurre una persona alla sua forma fisica.Papà Beppino la accompagnava in quella stanza?Sì. La prima volta che l’ho incontrato mi aveva fatto molta tenerezza: pensavo a mio marito Giuseppe, a quando è morto nostro figlio. E poi mi sembrava quasi di parlare con mio padre: mi diceva «sei una birba».Adesso è cambiato qualcosa?Rispetto comunque Beppino e provo sempre grande affetto per lui. Ma non è giusto quello che sta facendo. I figli non sono di nostra proprietà: ci sono soltanto affidati. Ci prendiamo cura di loro, li aiutiamo, li assistiamo e semmai li accompagniamo alla morte, preparandoli se deve accadere, anche da piccoli. Ma lui non si rende conto di tutto questo, si sente incapace di tornare indietro: credo sia soprattutto lui in uno stato simile a quello vegetativo. Quando si risveglierà da questo torpore si renderà conto e starà male, tanto.Lei che rapporto ha, Margherita, col papà di Eluana?Ci siamo confrontati tante volte, ma è sempre stato cortese con me. È convinto di quanto fa, forse perché non vede più Eluana come lui la vorrebbe. Ma a me pare evidente che in qualche modo sia stato plagiato da tanta gente alla quale non interessa nulla di Eluana. E lui ora è strumentalizzato, è finito in un vortice: ha anche momenti nei quali io credo vorrebbe tornare indietro, perché non pare convinto fino in fondo di quanto sta facendo, ma non ne ha la forza.Com’era trattata Eluana nella casa di cura lecchese?Come una regina. Le suore che le stanno accanto ogni giorno la curano, la lavano, la portano a spasso sulla carrozzella. Addirittura la depilano, perché Eluana come ogni ragazza non sopportava d’avere peli sulle gambe.E come sta?Lei è una donna. Una donna di trentotto anni: ha la mia stessa età. Ha il ciclo mestruale come ogni donna. Apre gli occhi di giorno e li chiude la notte. Respira benissimo e da sola, serenamente. Il suo cuore batte da solo, tenace e forte. Ci sono momenti nei quali forse sorride e atri nei quali forse socchiude gli occhi. Ma quanti sanno davvero che Eluana non è attaccata a nessuna macchina? Quanti sanno che nella sua stanza non c’è un macchinario, ma due orsacchiotti di peluche sul suo letto? Che non ha una piaga da decubito? Che in diciassette anni non ha preso un antibiotico?La notte scorsa hanno portato Eluana a morire: lei, Margherita, cosa sta provando?Ho un pugnale dentro. Prego, spero fino all’ultimo che lui si renda conto di quel che sta facendo. Quanto sia sbagliato. Quanto non sia paterno. Quanto non sia umano. Io so che lui soffre dentro di sé, e tanto.Ci ha parlato appena ieri mattina: secondo lei cosa prova Beppino?Non so come possa vivere con un peso addosso come questo: Eluana da diciassette anni è in quelle condizioni, ma lui fino a ieri mattina non si era mai svegliato sapendo che sua figlia sta per morire.Come mai, Margherita, lei e suo marito Giuseppe decideste d’interrompere la chemioterapia a vostro figlio?Paolo ne aveva fatti quattro cicli, ne mancavano due, ma ormai il male aveva invaso tutto il suo corpo e i medici ci spiegarono bene la situazione. I dolori e il vomito e tutte le devastazioni provocate dalla chemio a quel punto sì che sarebbero state accanimento terapeutico: così ci fermammo, affidandoci e affidando Paoletto a Dio.Perché invece con Eluana non ci sarebbe accanimento terapeutico?Ma Eluana non ha una malattia, non è terminale, non ha un dolore, non ha un macchinario nella stanza, non c’è nulla che possa far pensare ad un accanimento per tenerla in vita! È accudita, curata, amata. La si deve solamente aiutare a mangiare!Beppino però sostiene che la morte di Eluana servirà a liberarla…Liberarla da cosa? Come fa lui a sapere che lei è in catene? Una persona che soffre lo si vede. Non lo capisco proprio cosa voglia dire Beppino, cerco di sforzarmi, ma non ci arrivo.Quella giovane donna da ieri è ricoverata nella sezione maschile del “Reparto Alzheimer” della clinica udinese “La Quiete”…Ma si rende conto?! È lì, da sola, con nessuno che la conosce, che l’ha curata, che la ama, perché le suore di Lecco la amano: se sapesse ieri sera (lunedì; ndr) quando ho chiamato suor Rosangela come piangeva. Anzi, mi permetta di ringraziare proprio le suore della casa di cura “Beato Talamoni” e tutte le persone che per quindici anni hanno avuto quella tale cura per Eluana.Margherita, ma perché lei decise d’andare a trovarla?Non lo so. Una sera ero a casa, ho visto la notizia al telegiornale e ne ho avuto il desiderio. So di non valere nulla, ma ho cercato il numero di Beppino, perché volevo fargli sentire la mia vicinanza. L’ho chiamato, gli ho spiegato chi ero e che sarei stata felice se avessi potuto incontrare Eluana. Lui fu molto gentile, mi disse: «Signora, davanti al suo dolore m’inchino e mi fa piacere se viene». Appena poi arrivai a Lecco, mi chiese subito: «Margherita, tu da che parte stai?».Lei cosa gli rispose?«Beppino, io non sto dalla parte di nessuno: sono venuta a trovare Eluana come se tu fossi venuto a trovare un mio parente caro»: andai da lei non per far cambiare idea a Beppino né per altro, solo perché mi era sembrato giusto farlo. Come mai lei ha accettato di raccontare tutto questo solamente adesso?Beppino sa che io non avrei mai detto nulla e l’ha visto finora. Però è giunto il momento di dare voce a Eluana.Un’ultima domanda, Margherita: ha speranze per Eluana?La prima volta andai a trovarla nel novembre scorso: le promisi che sarei tornata a Natale e Beppino, certo e tranquillo mi disse: «A Natale non ci sarà più». Io le sussurrai nell’orecchio sotto voce «non ti preoccupare, ci rivediamo» e così poi è stato.
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domenica 8 febbraio 2009

APPELLO AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA PER SALVARE LA VITA DI ELUANA ENGLARO

Signor Presidente,

la tragica fine che si prospetta per Eluana Englaro non lascia indifferente la coscienza civile dell'Italia.Eluana è portata a morte senza che sia stata accertata in maniera incontrovertibile la sua volontà, né l'irreversibilità del suo stato vegetativo.
Eluana rischia dunque di morire sulla base di una volontà solo presunta, e sarebbe l'unica persona a subire una tale sorte, poiché nessuna delle leggi sul fine-vita in discussione in Parlamento permetterà più questo obbrobrio.
Signor Presidente, Le chiediamo fermamente di non permettere questa tragedia, che sarebbe un insulto sanguinoso alla storia, alla cultura, all'identità stessa del nostro Paese, convinti come siamo che nessuno deve essere costretto a morire per un formalismo giuridico.
Le chiediamo un intervento perché – di concerto con il Governo – sia data una moratoria alla sospensione dell'alimentazione e idratazione cui è sottoposta Eluana, in attesa che il Parlamento – nelle cui fila si è già appalesata un'ampia maggioranza in sintonia con la maggioranza che vi è nel Paese – possa pronunciarsi su un'adeguata legge.
Siamo certi che Ella non rimarrà insensibile al nostro appello

http://www.appellonapolitano.enter.it/

Chi può firmi questo appello!

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mercoledì 28 gennaio 2009

Bruce Springsteen - Bobby Jean (da Born in the USA)

Well I came by your house the other day, your mother said you went away
She said there was nothing that I could have done
There was nothing nobody could say
Me and you we've known each other ever since we were sixteen
I wished I would have known I wished I could have called you
Just to say goodbye Bobby Jean
Now you hung with me when all the others turned away turned up their nose
We liked the same music we liked the same bands we liked the same clothes
We told each other that we were the wildest, the wildest things we'd ever seen
Now I wished you would have told me I wished I could have talked to you
Just to say goodbye Bobby Jean
Now we went walking in the rain talking about the pain from the world we hid
Now there ain't nobody nowhere nohow gonna ever understand me the way you did
Maybe you'll be out there on that road somewhere
In some bus or train traveling along
In some motel room there'll be a radio playing
And you'll hear me sing this song
Well if you do you'll know I'm thinking of you and all the miles in between
And I'm just calling one last time not to change your mind
But just to say I miss you baby, good luck goodbye, Bobby Jean

http://it.youtube.com/watch?v=_caz4qMxTH4

L'altro giorno sono andato a casa tua
Tua madre ha detto che te n'eri andato
Mi disse che non avrei potuto farci niente
Non c'era niente che nessuno potesse dire
Io e te ci conosciamo fin da quando eravamo sedicenni
Avrei voluto saperlo
Avrei voluto poterti chiamare
Solo per dire arrivederci Bobby Jean
Sei rimasto con me quando tutti gli altri se ne andavano, storcendo il naso
Ci piaceva la stessa musica, ci piacevano le stesse band, ci piacevano gli stessi vestiti
Ci dicevamo che eravamo i più scatenati
Le cose più selvagge che avessimo mai visto
Ora speravo che me lo volessi dire
Avrei voluto poterti parlate
Solo per dire arrivederci Bobby Jean
Andavamo in giro sotto la pioggia e parlavamo del dolore che tenevamo nascosto al mondo
Adesso non ci sarà più nessuno, nessun luogo, mai più che mi capirà come te
Forse sarai in quella strada da qualche parte,
in viaggio in qualche bus o treno, nella stanza di qualche motel ci sarà una radio che suona
e tu mi ascolterai cantare questa canzone
Certo, se lo farai, sappi che sto pensando a te e tutte le miglia che stanno nel mezzo
e sto chiamando per l'ultima volta
Non per farti cambiare idea,
ma solo per dirti che mi manchi baby, buona fortuna, arrivederci Bobby Jean
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da ilsussidiario.net

USA/ L’aborto, una questione non politica
Lorenzo Albacete
mercoledì 28 gennaio 2009

Il 23 gennaio del 1974 partecipai a Washington alla prima “Marcia per la vita” per protestare contro la decisione di un anno prima della Corte Suprema (Roe vs. Wade), che aveva sancito come diritto costituzionale il procurare o effettuare aborti. A quel tempo l’atmosfera alla Marcia era piena di speranza e l’approvazione di un emendamento costituzionale per annullare la sentenza Roe vs. Wade appariva possibile a molti.

Quest’anno, trentaquattro anni dopo, l’atmosfera della Marcia era quella di un atto di testimonianza molto più che di strategia politica. L’elezione a presidente di Barack Obama, sostenitore della Roe vs. Wade (la cui costituzionalità è stata riaffermata dalla Corte Suprema), rende improbabile che la causa del movimento antiabortista trovi molti appoggi a livello politico. In effetti, la maggioranza degli americani sembra del tutto a suo agio con la legalizzazione dell’aborto.

Il giorno dopo la Marcia, il presidente Obama ha revocato il divieto dell’Amministrazione Bush di concedere finanziamenti federali a organizzazioni internazionali che promuovono l’aborto. Questo divieto fu introdotto da Ronald Reagan, rimosso da Carter, imposto di nuovo da Bush senior, cancellato da Clinton (nello stesso giorno della Marcia), ristabilito da Bush junior (nel giorno della Marcia) e ora annullato da Obama, mantenendo una promessa elettorale fatta alla sinistra del Partito Democratico. Il presidente Obama ha aspettato il giorno dopo la Marcia per emanare il suo provvedimento (e senza alcuna pubblicità alla sua firma), come gesto di rispetto, ha dichiarato, per il movimento antiabortista.

La posizione di Obama non è una sorpresa. Dopotutto, non vi è nessuna indicazione nella sua educazione che gli sia mai stato insegnato come affrontare in modo critico questo argomento. Sebbene cristiano battezzato, ha scelto di identificarsi in quanto tale solo in età adulta, sotto l’influenza di una comunità ecclesiale senza alcuna tradizione di una morale basata sulla “legge naturale”, ma piuttosto sull’enfatizzazione degli aspetti di giustizia sociale, occupandosi di discriminazione razziale e povertà seconda una secolarizzata ideologia progressista.

Nel periodo in cui si definiva un nero “americano”, l’influenza delle comunità battiste fondamentaliste nere si era indebolita parecchio, soprattutto nel Nord. La sua vita ecclesiale era essenzialmente la branca religiosa afroamericana della politica del Partito Democratico. Quando i ministri religiosi neri e i leader religiosi (come Jesse Jackson) abbandonarono le loro convinzioni religiose pro-life per essere accettati dal Partito, la causa liberal divenne essenzialmente pro aborto.

E poi c’erano i Democratici cattolici i quali, nella Chiesa divisa dalla condanna della contraccezione, trovarono preti, religiosi e teologi che li portarono a credere che potevano rimanere buoni cattolici senza opporsi alle politiche del loro partito in favore dell’aborto (solo qualche giorno fa, di fronte alle critiche anche di alcuni progressisti, la cattolica Nancy Pelosi ha difeso la promozione della contraccezione come componente necessaria del piano dell’Amministrazione per rivitalizzare l’economia).

I cattolici anti-aborto sono stati costretti a rifugiarsi tra le accoglienti braccia dei Repubblicani, ma nell’attuale disordine e tentativo di riposizionamento del Partito Repubblicano appare chiaro come, per attrarre i Democratici contrari all’aborto, molti Repubblicani avessero nascosto le loro posizioni in favore dell’aborto. Così, il movimento anti-aborto è rimasto senza una casa politica e, forse, questo si rivelerà una benedizione. Per ora, si tratta veramente in primo luogo di una questione di testimonianza piuttosto che di politica di partito.
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LETTURE/ Il san Tommaso di Chesterton, quando la ragione è “degna di fede”
Pigi Colognesi
mercoledì 28 gennaio 2009

Oggi è la festa di san Tommaso d’Aquino. Non è facilmente immaginabile che, per celebrarlo, qualcuno vada a leggersi un paio di articoli della gigantesca Summa. Semmai, qualche zelante potrebbe aver voglia di riguardarsi le pagine a lui dedicate sul suo manuale di filosofia. Del resto, quelli più recenti gli dedicano sempre meno spazio. Ma c’è una strada più agile e perfino divertente. Leggersi il ritratto che al grande filosofo e teologo del XIII secolo ha dedicato la penna arguta e ficcante di Chesterton (edizioni Lindau).
Il creatore di padre Brown ammette subito di non essere un filosofo competente. E questo per il lettore è un vantaggio, in quanto anche i contenuti più ardui gli sono resi accessibili da una scrittura brillante e molto evocativa. Pur non essendo filosofo, Chesterton ha un obiettivo squisitamente filosofico nel suo ritratto: far capire la grandiosa «svolta» che il monaco domenicano ha prodotto nel pensieri cristiano e occidentale in genere. Una svolta paragonabile a quella realizzata qualche decennio prima su un altro versante da san Francesco, cui lo stesso Chesterton aveva dedicato un precedente volume.
In cosa è consistita questa svolta? «Tommaso d’Aquino è stato uno dei maggiori artefici dell’emancipazione dell’intelletto umano… L’essenza della dottrina tomistica è che la ragione è degna di fede». Tommaso, infatti, si oppone radicalmente ad ogni scetticismo e ad ogni dualismo tra pensiero e realtà. Realtà sempre in primo piano nella sua riflessione e mai piegata alla tirannia delle idee o alla corrosione di una spiritualità evanescente. Qui sta il valore della sua riscoperta di Aristotele, che gli ha permesso di «salvare l’elemento umano nella teologia cristiana… Il suo aristotelismo significava semplicemente che lo studio dei fatti più insignificanti portava allo studio delle verità più importanti». Ne consegue l’inossidabile «ottimismo» che, secondo Chesterton, attraversa tutte pagine dell’Aquinate: «Nessuno può capire la filosofia tomista, e neanche la filosofia cattolica, a meno che non si renda conto che la sua parte fondamentale è la lode della Vita, la lode dell’Essere, la lode di Dio in quanto creatore del mondo».
Chesterton non si nasconde, anzi enfatizza, il fatto che l’impostazione tomista è oggi, dopo il trionfo di una visione pessimista e scettica, del tutto impopolare e persino difficile da comprendere. Proprio per questo egli cerca di rendere accessibili alcuni principio basilari del modo di ragionare di san Tommaso. Memorabili al riguardo le pagine in cui Chesterton spiega il significato della parola Ens, partendo dalla costatazione del prato verde fuori dalla finestra fino a giungere alla constatazione della diversità delle cose, alla loro non eternità (che non ne cancella l’essere), a Dio. «Il bambino è consapevole dell’Ens. Molto prima di sapere che l’erba è erba, e che lui è lui, sa che qualcosa è qualcosa. È su questa inezia che Tommaso costruisce tutto il lungo processo logico, che nessuno è mai riuscito a contestare, su cui fonda tutta la logica della cristianità».
Il ritratto chestertoniano non è però un trattato di filosofia in pillole. I tratti umani e spirituali di san Tommaso sono tracciati con estrema vivezza e con profonda arguzia sono contrapposti a tanti nostri modi di penare irragionevoli. Molti sono gli episodi narrati e uno merita di essere ricordato. Narrano i biografi del santo che una volta la voce di Dio chiese a san Tommaso una ricompensa per il suo grande lavoro. «Lui – annota Chesterton - non era una persona che non voleva nulla; era una persona enormemente interessata a tutto… Tra le migliaia di cose che avrebbero veramente soddisfatto il suo vasto e gagliardo appetito per l’immensità e la vastità dell’universo… Tommaso, con un’audacia quasi blasfema che è tutt’uno con l’umiltà della sua fede, disse: “Voglio avere Te”».
Pubblicato da Giulia alle 12:17 | 0 commenti  
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