sabato 27 dicembre 2008

Canzone di S.Giuseppe

Figlio venuto dall’Eterno
voglio cantare
un canto per Tua madre,
per questa donna
che volevo mia,
per questa donna.

Per le sua mani docili al lavoro,
per la sua fronte chiara nella sera,
per la sua voce che mi fa tremare,
per la sua voce.

Voglio lodare la mia sposa,
Lei fra le genti
nei secoli beata
per la sua fede
grande nel Signore,
per la sua fede

Per il suo grido quando Tu sei nato,
per le sue labbra bianche di dolore,
per il suo sangue sparso sul suo manto,
per il suo sangue

Grazie per quello che m’hai tolto,
grazie Signore
per quello che m’hai dato
e per quest’ora
e per questa notte
e per quest’ora.

Per i suoi occhi chiusi nel riposo,
per la sua testa sopra la mia spalla,
per il suo sonno mentre tutto tace,
per il suo sonno.
Per la sua pace.

(A.Mascagni)


Un mio amico mi ha fatto conoscere questa canzone e volevo riportarla qui perchè fa entare di più in quello che è stata la nascita di Gesù attraverso il modo in cui è visto il rapporto tra Giuseppe e Maria, così umano e così vero. Lui, così affascinato da una persona "che voleva sua"... e quello che ha vissuto, questo evento molto più grande di lui e di lei, che ha sconquassato e ribaltato tutto quello che lui voleva, però così corrispondente ai suoi desideri, sebbene in un modo che non aveva mai pensato e immaginato: "grazie, Signore, per quello che mi hai tolto, per quello che mi hai dato". La musica, come il testo, è piena di dolcezza e malinconia assieme, come una cosa che si ha già e già manca, già si vuole più intensamente.
E' proprio bella!

Giulia


Buon Natale e anno nuovo.
Pubblicato da Giulia alle 15:56 | 1 commenti  
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venerdì 21 novembre 2008

dal frammento XII di C. Rebora

Quando si nutre il cuore
un nulla è riso pieno,
quando s'accende il cuore
un nulla è ciel sereno:
quando s'eleva il cuore
all'amoroso dono,
non più s'inventan gli uomini, ma sono.


[quando gli uomini si accorgono di essere amati non si inventano più, non fingono di essere qualcosa d'altro, non hanno vergogna di sé, ma sono davvero, fino in fondo, se stessi]

Pubblicato da Giulia alle 14:31 | 1 commenti  
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domenica 9 novembre 2008

da ieri sera

Questa sera, sotto le rocce rosse lunari, pensavo come sarebbe di una grande poesia mostrare il dio incarnato in questo luogo, con tutte le allusioni d'immagini che simile tratto consentirebbe. Subito mi sorprese la coscienza che questo dio non c'è, che io lo so, ne sono convinto, e quindi altri avrebbe potuto fare questa poesia, non io. Di qui ho pensato come dovrà essere allusivo e all-pervading ogni mio futuro argomento, allo stesso modo che dovrà essere allusiva e all-pervading la fede nel dio incarnato nelle rocce rosse, se un poeta se ne fosse servito. Perchè non posso trattare io delle rocce rosse lunari? Ma perchè esse non riflettono nulla di mio, tranne uno scarno turbamento paesistico, quale non dovrebbe mai giustificare una poesia. Se queste rocce fossero in Piemonte, saprei bene però assorbirle in un'immagine e dar loro un significato. Che viene a dire come il primo fondamento della poesia sia l'oscura coscienza del valore dei rapporti, quelli biologici magari, che vivono d'immagine nella coscienza prepoetica.

Da "Il mestiere di vivere", di C. Pavese
Pubblicato da Giulia alle 06:18 | 0 commenti  
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giovedì 30 ottobre 2008

Dante Alighieri, Paradiso X, vv.52 - 63

E Bëatrice cominciò: "Ringrazia,
ringrazia il Sol de li angeli, ch’a questo
54 sensibil t’ha levato per sua grazia".
Cor di mortal non fu mai sì digesto
a divozione e a rendersi a Dio
57 con tutto ’l suo gradir cotanto presto,
come a quelle parole mi fec’io;
e sì tutto ’l mio amore in lui si mise,
60 che Bëatrice eclissò ne l’oblio.
Non le dispiacque; ma sì se ne rise,
che lo splendor de li occhi suoi ridenti
63 mia mente unita in più cose divise.
Pubblicato da Giulia alle 09:23 | 0 commenti  
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martedì 30 settembre 2008

C. Rebora, Frammenti Lirici

Frammento VI

Sciorinati giorni dispersi,
cenci all'aria insaziabile:
prementi ore senza uscita,
fanghiglia d'acqua sorgiva:
torpor d'attimi lascivi
fra lo spirito e il senso;
forsennato voler che a libertà
si lancia e ricade,
inseguita locusta tra sterpi;
e superbo disprezzo
e fatica e rimorso e vano intendere:
e rigirìo sul luogo come carte,
per invilire poi, fuggendo il lezzo,
la verità lontano in pigro scorno;
e ritorno, uguale ritorno
dell'indifferente vita,
mentr'echeggia la via
consueti fragori e nelle corti
s'amplian faccende in conosciute voci,
e bello intorno il mondo, par dileggio
all'inarrivabile gloria
al piacer che non so,
e immemore di me epico armeggio
verso conquiste ch'io non griderò.
- Oh-per l'umano divenir possente
certezza ineluttabile del vero,
ordisci, ordisci de' tuoi fili il panno
che saldamente nel tessuto è storia
e nel disegno eternamente è Dio:
ma così, cieco e ignavo,
tra morte e morte vil ritmo fuggente, anch'io
t'avrò fatto; anch'io.
 
Pubblicato da Giulia alle 09:33 | 0 commenti  
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